LE GROTTE DEL MONTESPAN

Uno degli ipogei di maggior interesse al mondo
LE GROTTE DEL MONTESPAN
Gli ambienti di grotta di Speleos si ispirano a uno degli ipogei di maggior interesse sia naturalistico che archeologico al mondo: le Grotte del Montespan.

Era il mattino del 19 agosto del 1922 e in piena, incosciente, solitudine Norbert Casteret effettuò una prima ricognizione della grotta. Coraggiosamente si immerse nel primo sifone, un primo tratto allagato, ignorandone l’ampiezza, a più di 50 metri dall’ingresso della grotta, e forte della sua notevole capacità respiratoria, lo percorse tutto affiorando nell’oscurità di un antro. 
Questa prima ricognizione  lo convinse a tornare nel pomeriggio più equipaggiato, con più candele e fiammiferi protetti dall’acqua. Superò il primo sifone sino ad una vasta sala con una piccola spiaggia e con flussi di aria fresca provenienti dall’alto.
Aveva percorso circa 180 metri dall’imbocco della grotta del Montespan, in piena solitudine, tra sconosciuti ambienti fatti di nere stalattiti gocciolanti, laghetti d’acqua scura, sabbia e rocce collassate.  Affrontò un nuovo sifone superato il quale si ritrovò in un ambiente ancora più vasto. Era a 300 metri dall’ingresso.

Ne esplorò gli anfratti, arrampicandosi con difficoltà su grossi massi che si frapponevano al suo percorso. Incontrò girini e rami marcescenti indici di acque fluenti. Si spinse ancora avanti mosso da quell’insondabile desiderio di scoperta, fino all’estremo delle sue energie. Dopo cinque ore tornò allo scoperto nel buio della notte.

Le scoperte nelle Grotte di Montespan

L’estate del 1923 vi ritornò con un altro speleologo, Henri Godin, e si spinsero oltre la meta raggiunta l’anno prima. Casteret aveva raccolto scarse prove di presenza umana, tra cui, un dente di “Bos primigeniussicuramente portato in quei luoghi da mano umana. Lo spirito di questa seconda esplorazione era fortemente orientato a trovarne conferma.
 
Nuove e più ampie sale vennero esplorate, ricche di concrezioni calcaree, distese di argilla, lastroni di pietra levigata e stagni di acqua gelata. Fu nell’ultimo ambiente che i due speleologi ebbero la conferma che quello spazio misterioso aveva, millenni prima, rappresentato un luogo sacro per gli uomini preistorici.
 
Una rozza figura d’argilla evocava un orso, con le zampe protese in avanti e tra queste i resti del suo cranio, il corpo scalfito da colpi propiziatori. Poi alla tremolante luce delle candele comparvero, graffiti o modellati in creta, tigri o leoni, cavalli, bisonti, renne, iene, mammuth oltre a segni magici ed impronte di mani comprese ditate nelle zone di scavo dell’argilla.
 

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